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Sempre più frequente, nel territorio emiliano-romagnolo e piacentino in particolare, è la necessità di dare risposte concrete e puntuali ai bisogni di famiglie con persone vittime di incidenti stradali o incidenti sul lavoro o ancora, affette da patologie degenerative progressive, quali la sclerosi multipla, la distrofia muscolare, la sclerosi laterale amiotrofica, o degli stessi disabili acquisiti. Il tema è anche all'attenzione dei piani di zona territoriali e ha un rilievo prioritario.

Si tratta di un universo spesso misconosciuto ai più. Spesso il cittadino comune viene a sapere dagli organi di stampa o dai media in genere degli incidenti che si verificano e delle vittime dei medesimi. Tante volte però il ferito, ovvero colui che frequentemente porta su di sé i segni permanenti dell'evento che si è verificato, non fa notizia e diventa il protagonista di un mondo sommerso, noto solo ai servizi sociali o sanitari, un mondo nel quale deve fare i conti con la dura realtà di una vita da ricostruire ex-novo, spesso condizionata dalla modifica permanente delle proprie condizioni di salute e fisiche. Di frequente come dicevamo l'incidente stradale o l'incidente sul lavoro fanno notizia quando accadono: non si sa spesso cosa accade “dopo”. Cioè non si sa, nella percezione comune, quali sono le condizioni di vita di chi si salva, come ci si salva. Purtroppo, sempre più spesso, gli incidenti creano una persona nuova, una persona che non ha nulla a che fare con il corpo nuovo (spesso rifiutato e odiato) nel quale si trova a vivere: un corpo che lo allontana del mondo, che ne mette a rischio le relazioni affettive e sentimentali, che fa i conti con una carrozzina, con braccia e mani altrui che lo aiutano ad alzarsi, a sollevarsi, a lavarsi, a stendersi. Un corpo nemico, ostile, con il quale non è facile avere a che fare.

La stessa problematica, in maniera altrettanto drammatica seppure più graduale, viene vissuta dalla persona che si trova a dover convivere con la diagnosi di una malattia degenerativa cronica (celebri i casi portati a livello nazionale di Piergiorgio Welby e di Giovanni Nuvoli).

Le famiglie che oggi si rivolgono alle associazioni per problematiche afferenti alla disabilità acquisita presentano fragilità ascrivibili a numerosi fattori:

  • l'impatto psicologico della disabilità acquisita (sia essa collegabile ad una patologia degenerativa cronica che ad un evento traumatico quale incidenti stradali o incidenti sul lavoro o ad eventi improvvisi quali aneurismi, ictus o ischemie) sul singolo disabile (abituato a vivere quasi sempre una vita del tutto normale) sia sul nucleo familiare di appartenenza (esponendo il medesimo a fortissime tensioni emotive e relazionali oltre che a un carico in termini di lavoro di cura estremamente elevato);
  • la spesso totale estraneità del disabile acquisito e dei suoi familiari dal mondo dei servizi socio-sanitari (si tratta in molti casi di persone che non hanno avuto grandi problemi di salute in precedenza e che si trovano improvvisamente del tutto spiazzati di fronte ad una diagnosi e a una prognosi gravemente limitanti, proprio perché nulla conoscono del labirinto dei servizi e della loro articolazione;
  • la necessità (talvolta impellente e manifesta, talvolta inconscia) di trovare un supporto psicologico e di mettersi in relazione con altre persone e famiglie che hanno vissuto o stanno vivendo lo stesso tipo di esperienze per sentirsi meno soli e per cominciare a percorrere un percorso di accettazione che non deve però tradursi in rassegnazione, ma comunque in ricerca coraggiosa di una autonomia migliore o possibile.

In questo sito è possibile trovare una panoramica sulle disabilità acquisite e le loro cause, alcune testimonianze e links a siti di approfondimento.