Storie di Vita

Durante la realizzazione del video Guardare oltre - Cinque storie di disabilità acquisita nel territorio piacentino, sono state raccolte testimonianze particolarmente significative di persone con storie e vissuti molto diversi accumunati da una disabilità acquisita.

Gli intervistati raccontano la propria personale esperienza invitandoci a riflettere, al di là di ogni semplificazione, su vari aspetti e dimostrando come, nonostante tutto, si possa continuare a fare progetti, ad amare, a vivere.

La disabilità acquisita può essere causata da eventi traumatici o dall'insorgere di particolari patologie.

“Dunque, io ho fatto un incidente sul lavoro circa 7 anni fa. Un albero motore mi ha preso la manica […] sono stato centrifugato e da lì è stato tutto un attimo e mi sono ritrovato completamente nudo e con il braccio sinistro completamente strappato, il braccio destro distrutto, era tutto rotto e infatti era lunghissimo, era diventato una cosa incredibile e poi il piede, la gamba sinistra e le costole rotte” (Giuseppe)

“Io ho sempre fatto la casalinga e in più avevo un piccolo laboratorio di maglieria in casa […] anni fa avevo avuto l'asportazione di un rene poi quando avevo 63 anni ho avuto problemi con la gamba. Mi faceva male la gamba, pensavo che fosse derivato dal rene mancante, ho incominciato a fare i vari esami e purtroppo hanno visto che avevo problemi di circolazione. 3 mesi di calvario perché mi hanno fatto 7 bypass, prima dei bypass 3 ischemie che sono abbastanza noiose, e purtroppo non sono riusciti a risolvere il problema. Pensate che con il dolore che avevo sono stata io a dire ai dottori di tagliarmi il piede. Loro non volevano dirmelo, ma purtroppo mi hanno detto, Bruna non dobbiamo tagliare il piede dobbiamo tagliare la gamba; tagliate quello che volete, io non lo sopporto più. Mi era venuta un'ulcera al tallone iniziavano a venire le ulcere alle dita dei piedi” (Bruna)

“Nel 1989 mi sono ammalata di sclerosi multipla, o per lo meno è stata diagnosticata questa patologia. A causa di una neurite ottica fui costretta a recarmi al reparto di oculistica del nostro ospedale dove a seguito di esami, soprattutto la risonanza magnetica e l'esame del liquor, nonché la rachicentesi, venne stabilito che era una forma di sclerosi multipla” (Mara)

“Avevo 15 anni, ero sulla battigia, in spiaggia, stavo giocando con i miei amici, ho preso la rincorsa perché faceva caldo e io volevo fare un tuffo in mare, l'acqua era bassa, io mi sono buttata e ho cozzato contro una pietra. In quel momento lì naturalmente non sapevo cosa fosse successo. Fortunatamente non ho perso i sensi, però l'impatto è stato tale per cui io ho avuto un contraccolpo e mi sono fratturata la quinta vertebra cervicale. Avere una lesione alla quinta vertebra cervicale significa perdere completamente l'uso del proprio corpo e la sensibilità” (Barbara)

“Sono affetto da distrofia muscolare Duchenne, una malattia invalidante progressiva neuromuscolare. Mi è venuta all'età di 6 anni, si è modificato il mio DNA ed è venuta a mancare una proteina che si chiama distrofina fondamentale per il tessuto muscolare e che quindi comporta un indebolimento progressivo fino a che ti costringe a stare su una carrozzina a rotelle per spostarti” (Daniele) 

Le reazioni e i tempi necessari all'accettazione della nuova situazione sono estremamente soggettivi. Nella maggioranza dei casi, le reazioni psicologiche immediate che seguono una disabilità acquisita sono l'isolamento, la sfiducia, l'angoscia, la rabbia. Tali sentimenti sono provocati da un conflitto interiore generato dall'alterata percezione del sé derivante dall'incongruenza tra l'immagine corporea interiore rimasta quasi immutata e l'immagine esteriore acquisita che il paziente fatica ad accettare. Il non riconoscersi più nel proprio corpo, il non sentirsi più persone normali comportano la paura di non essere accettati, amati, la paura di generare negli altri sentimenti di repulsione e quindi l'angoscia per quella che si percepisce come una condanna alla solitudine.

“Sono arrivato a 34 anni che stavo benissimo, lavoravo… così a un certo punto la vita cambia,  all'improvviso. Dopo mesi passati in ospedale arrivo a casa e guardandomi allo specchio trovo una persona che non sono io, completamente diversa. Forse il problema più grosso, quello che mi martellava di più, era il fatto che adesso con questa situazione con questo dramma nessuna ragazza mi guarderà mai più o mi vorrà mai più quindi sarò costretto a rimanere solo per tutta la vita”  (Giuseppe)

“Il panico, ma la paura proprio di non essere più te stessa, cioè diventi un altro. Io ritengo che in certi momenti vale il discorso di Dottor Jeckill e Mr Hyde, c'è uno sdoppiamento della personalità perché le tue facoltà non riesci più a controllarle” (Mara)

Nelle testimoniane raccolte, le persone sono arrivate a convivere con la disabilità in modo proficuo, traendo soddisfazione da quanto fanno, sia per quanto concerne le proprie aspettative sia in rapporto alle proprie potenzialità. Grazie alla determinazione, all'orgoglio o al sostegno di famigliari, amici, associazioni e istituzioni, gli intervistati riescono a conservare la capacità di progettare il proprio futuro perseguendo con tenacia i propri obiettivi o, stante l'impossibilità di continuare svolgere il proprio lavoro nelle mutate condizioni fisiche, adattandosi a sperimentare percorsi di inserimento mirato che, valorizzando le abilità residue della persona, hanno portato a situazioni nuove e gratificanti.

 “Quando ho cominciato a stare bene quindi, ho cominciato adagio adagio a cercare lavoro tramite un inserimento. Stavolta era all'USL che mi ha aiutato a trovale lavoro e quindi con inserimento mirato disabili nel Comune di Carpaneto dove abito, ed è stata una bella cosa perché ho cominciato a conoscere delle persone e così ho cominciato a uscire di casa soprattutto”  (Giuseppe)

“Tutti i giorni sono diversi, ecco perché la rassegnazione no, è un buttare la spugna, sarà che io sono un tipo anche orgoglioso ma la spugna cercherò di non buttarla mai” (Mara)

“La distrofia muscolare una volta che tu ce l'hai e te ne rendi consapevole, si, ok ti batti per la ricerca perché speri trovi una soluzione, però nel frattempo che fai, la tua vita c'è lo stesso […] io ho la distrofia muscolare, però volente o nolente poi diventa come una cosa che hai normalmente addosso, quindi non la senti più come un peso importante perché comunque ok ho la distrofia muscolare, sono sulla carrozzina, però comunque faccio le mie cose, magari con un po' più fatica magari con dei tempi un po' più lenti […] Nonostante i miei vari problemi, la malattia invalidante e tutte le problematiche varie che comporta, io faccio comunque una mia vita, nel senso dei progetti. Mi sono trasferito in un'altra città, a Parma, sto facendo l'università con l'obbiettivo di laurearmi, mi piacerebbe un giorno diventare un giornalista e svolgo la mia vita normale, nel senso che poi esco con dei miei amici, vado al cinema, vado a vedere una mostra, mi faccio un giro al parco, cose diciamo normali ” (Daniele)

“Ho detto la vita continua e anche se sarò in carrozzina riuscirò a fare quello che avevo in mente di fare, e ci sono riuscita. Ho fatto più del necessario perché, quando dopo 3 mesi di ospedale e 2 mesi di fisioterapia a Ponte dell'Olio, sono venuta a casa, mio marito è crollato poverino…ha avuto tanti problemi di malattia e io mi sono data da fare molto molto molto, anche se avevo una gamba sola… ma le mie carrozzine avevano 3 gambe praticamente, mi arrampicavo anche sui muri, per modo di dire, e mi è venuta fuori una grinta […] io ho avuto sempre un caratterino un po' vivace ma la grinta mi è venuta proprio dalla sofferenza che ho avuto e dalla menomazione che ho avuto” (Bruna)

“Quando io ho capito di aver perso per sempre determinate cose non mi sono più concentrata, queste cose che avevo perso non sono state più importanti. E' un meccanismo che mi scatta sempre, se una cosa non ho più la speranza di farla per me perde valore; questo mi ha permesso di sopravvivere perché io invece ho visto persone che non hanno accettato questa nuova condizione. In compenso tutto quello che io ho capito di poter ancora fare l'ho perseguito con una determinazione e una tenacia…non so, io ho sempre desiderato fare la scrittrice e la scrittrice sono riuscita a fare; questo a voluto dire re-imparare a scrivere, proprio tenere in mano una penna senza nessun tipo di ausilio. Io sono una persona molto vanitosa una delle prime cose che ho imparato a fare è stato truccarmi” (Barbara)

La disabilità acquisita può comportare dunque una compromissione della capacità di svolgere attività quotidiane e di movimento nel proprio spazio. Spesso tale deficit può essere recuperato solo in parte grazie alla fisioterapia o all'ausilio di una protesi. Ciò comporta l'esigenza di rapportarsi al tempo in modo nuovo, di ripensare le attività e lo spazio alla luce delle mutate condizioni fisiche.

“Io per mesi non ho mosso nulla a parte gli occhi, poi, siccome il livello di lesione al midollo è diverso da caso a caso e il mio era particolarmente grave, non ho ripreso nessuna funzionalità alle gambe, non ho ripreso funzionalità alle mani, però con i mesi e con molta fisioterapia ho ripreso a muovere le braccia. Sono diventata abile nelle faccende quotidiane di un certo tipo perché io non riesco, per esempio, non avendo la presa proprio delle dita, ad afferrare le cose. La sensibilità è tornata, ma non è tornata completamente, quindi io sento fino ad un certo punto il mio corpo e non oltre. Perdi determinate funzionalità che in alcuni casi si recuperano in altri casi no. Io respiro con il diaframma per cui c'è una grande fatica e dispendio di energie. Io faccio molta fatica a parlare per esempio, per me parlare è uno sforzo perché devo coordinare la respirazione con le parole che emetto, con il fiato che emetto, e questa è una cosa che non si recupera più nel tempo…cioè, uno può imparare a diventare più forte, fare ginnastica, diventare più abile, però ci sono delle cose che si perdono e si perdono per sempre” (Barbara)

“Ho un po' di problemi nel vestirmi e infatti mi devono aiutare, nel senso che, ad esempio, per quanto riguarda i pantaloni mi devono aiutare. Una cosa semplicissima per una persona normale allacciare le scarpe, io mi devo fare aiutare perché con i lacci ho dei grossi problemi, poi con la cintura. Sono tante cose per le quali ho bisogno dell'aiuto nella vita di tutti i giorni, dal tagliare non so una bistecca…”  (Giuseppe)

“Dunque, io abitavo in un appartamento grande [...] troppo grande e poi anche disagevole come palazzo. L'ascensore stretto, un cortile grande da attraversare tutto sconnesso, il cancellone che c'era da fare il grandino…infatti avevo chiesto anche lo scivolo ma non me l'hanno fatto…e allora guarda ho tagliato i ponti con tutto e ho deciso di cambiare casa. Ho fatto san martino, va bene, i trasportatori hanno portato i mobili, poi ho messo a posto tutto da sola, scatoloni, armadi, cassetti” (Bruna)

“La casa per me è stata un dono […] finalmente l'avevo acquistata, l'ho sistemata come mi piaceva e ho detto da qui non mi muovo più, anche perché sono nata in questi paraggi. A distanza di 19 anni questa casa è diventata il mio inferno, non per lei in sé stessa, quanto per il fatto che adesso presenta delle barriere architettoniche che non mi consentono più di essere così autonoma” (Mara)

Molte persone con deficit motori, visivi o uditivi, si trovano ad essere ancora in parte discriminati da ostacoli esterni che gli impediscono di accedere a luoghi pubblici e di svolgere semplici attività quotidiane come l'andare a fare la spesa. Tali ostacoli non sono rappresentati solo da barriere architettoniche, come uno scalino o la larghezza di una porta, ma anche dalla mancanza di civiltà delle persone.

“Il grosso problema di questo paese è la civiltà, ma noi pretendiamo civiltà da chi ci governa dalle istituzioni e non ci rendiamo conto che la civiltà parte da noi. Se io non rendo agibile un posto come un supermercato, come per esempio il GS di Piacenza, a tutti, se c'è una cassa per disabili perché è stata costruita in modo che una carrozzina ci possa passare e questa cassa è sempre chiusa io ho fatto un atto di inciviltà, un atto di intolleranza e di discriminazione” (Barbara)

Nei casi di amputazione l'ausilio di una protesi riduce la visibilità della menomazione e permette di recuperare, almeno in parte, la propria autonomia. La persona amputata può però avere grosse difficoltà ad accettare la presenza di un arto artificiale sostitutivo e nel dover imparare ad utilizzarlo in maniera adeguata. Un'amputazione agli arti inferiori, ad esempio, significa dover re-imparare a camminare, il che comporta notevoli sforzi. L'imbarazzo per la propria diversità e la conseguente paura di essere guardati e additati come anormali possono generare problemi a mostrarsi in pubblico se non opportunamente coperti, “mimetizzati”. In alcuni casi i soggetti non riescono a pensare alla protesi come parte integrante dell'immagine che hanno di loro stessi.

“Ogni volta che mi lavo o che devo mettere la protesi, tu calcola che mi dà ancora molto fastidio vedere […] è sempre uno shock guardare. Con la mia protesi è un rapporto di amore-odio, nel senso che io senza la protesi non riuscirei a fare niente perché devo avere su la protesi, mi fa sentire quasi normale diciamo; invece poi, quando la indosso e quindi sono in giro tra la gente, devo portare un reggibraccio perché ho paura dell'occhio della gente, degli sguardi della gente, e voglio quasi far credere di essere una persona con rotto un braccio” (Giuseppe)

“Naturalmente come tutti gli amputati ho avuto diritto a una protesi. L'ho fatta con tante difficoltà e il mio rapporto con il camminare non è del tutto…avete capito, preferisco stare in carrozzina; però camminare per me è come un hobby, cioè ci vado quando devo andare in qualche posto, mio figlio mi dice sempre di metter su la gamba, e cammino abbastanza bene però io riesco a fare tutto in carrozzina, per me è più facile, faccio del tutto” (Bruna)

Quando si tratta di persone affette da patologie degenerative progressive come la SLA o la distrofia muscolare, e quindi pienamente consapevoli del decorso della malattia, si impongono riflessioni e dibattiti che investono le concezione stesse di vita ed etica e che concernono i rapporti tra libertà dell'individuo e legge, il diritto all'autodeterminazione, i temi dell'eutanasia e dell'accanimento terapeutico.

“Sapendo che ho una malattia invalidante neuromuscolare finchè mi sentirò di vivere, come tutt'ora, vivrò facendo progetti e continuerò a vivere la mia vita normalmente. Spero nella ricerca, che trovi una soluzione in modo tale da non dover arrivare a tale punto, però nel caso si arrivasse, per fare un esempio, tipo la situazione di Piergiorgio Welby, io in quel caso vorrei essere libero di poter scegliere e quindi di esercitare il mio diritto di libertà, di scegliere di come chiudere la mia vita” (Daniele)

Alcuni individui riescono a trarre dalla disabilità, proprio in quanto acquisita, vere e proprie lezioni di vita riuscendo a scoprire ed attivare “talenti nascosti” che fanno parte del loro  patrimonio e ad assumere un ruolo attivo nella società divenendo attori e promotori della cultura della solidarietà e della partecipazione.

“Io ho ricevuto molto cioè mi sono stati molto vicino associazioni e così e mi hanno aiutato molto quindi adesso io nei fine settimana il sabato presto servizio di volontariato perché voglio anche restituire quello che ricevuto. Ho riscoperto tanti amici persone che non immaginavo mi volessero così bene come poi dopo l'incidente ho scoperto persone eccezionali che mi sono sempre state vicino” (Giuseppe)

 “Se tu una cosa la conosci di più, hai meno paura. Hai molto paura se una cosa non la conosci, quindi addentrandoti cerchi di avere sempre le idee chiare sulla cosa e poi le trasmetti anche agli altri che è molto importante […] però dici, è mai possibile che una malattia mi possa coinvolgere? E' possibile, quando meno te lo aspetti e soprattutto anche a causa del sistema di vita che noi abbiamo…io ribadisco che il sistema di vita del giorno d'oggi è una delle concause di tante malattie. […] il fatto che una disabilità possa essere una vergogna, non fa forse parte della vita? Ma la vita è composta anche di questo, cioè uno allora non dovrebbe neanche uscire di casa perché potrebbe essere vergogna anche il fatto di essere nato […] Consideriamo che al giorno d'oggi, nonostante la nostra società è evoluta, è avanti, è ricca, è florida, ha nel suo contesto delle debolezze indescrivibili…faccio un esempio, quando ero giovane io, io vengo da una famiglia di operai, mi hanno insegnato ad andare al cimitero a trovare i tuoi cari, ad andare all'ospedale a trovare il cugino, il papà, il nonno, a non avere paura della realtà che si tocca con mano. Questi luoghi sono stati banditi dalla realtà quotidiana, non ho più visto un bimbo che va all'ospedale a trovare un parente, non ho più visto un bimbo che va sulla tomba a portare un fiore a un caro […] io sono diventata attrice un paio di mesi prima di ammalarmi. Negli ultimi anni si è accentuata perché io sono partita come truccatrice, come suggeritrice, poi ho affrontato le prime parti e le ho affrontate anche durante la disabilità, quindi curando prima il fisico e poi la mente…e ho affrontato anche dei personaggi molto importanti, ma mi è servita tantissimo perché mi ha aiutato ad andare avanti. Sia nell'associazione sia sul palcoscenico tu devi tirare fuori quello che sei, i sentimenti che tu hai li devi far capire agli altri e se entri nel personaggio nel modo corretto ti accorgi che la vivi quella situazione, è la storia della vita anche perché la vita è un palcoscenico” (Mara)

La presenza e il sostegno della famiglia sono estremamente importanti e non devono essere dati per scontati. I familiari che si prendono cura di un disabile grave devono poter beneficiare di momenti di pausa dall'assistenza del proprio caro, momenti fondamentali per salvaguardare la loro salute fisica e psichica e le relazioni, anche quella con il disabile stesso. Le famiglie vanno perciò supportate nell'affrontare le diverse situazioni concrete che si presentano e aiutate a riappropriarsi del loro ruolo, consentendo alla persona disabile di raggiungere il massimo d'autonomia possibile, di ridefinire la propria identità e di istaurare con i propri cari rapporti 'normali'.

“[…] la malattia invalidante è invalidante per sé stessi, ma è anche invalidante per chi in parte ti sta attorno, nel senso che comunque c'è l'affetto, c'è l'amore, però è sempre un condizionamento che si dà alle persone che sono intorno […]  dopo tanti anni che la tua famiglia ti aiuta, da quando avevi 6 anni fino ai 20 anni, ti ha assistito, ha dovuto rinunciare a tante cose per aiutarti, mi sembra, almeno dal mio punto di vista, anche giusto liberare […] dare la possibilità anche alle altre persone di non essere sempre condizionate dalla tua condizione di disabilità e soprattutto questo ragionamento viene fatto sia per i propri cari o parenti che ti sono vicino, ma anche come cosa personale in un certo senso. E' indubbio che io preferisco avere un rapporto con la mia famiglia normale, come hanno tante persone, senza avere quel peso che i miei famigliari mi devono per forza aiutare” (Daniele)

Nei casi di disabilità fisica spesso si manifesta, sia nel disabile stesso sia in chi convive con lui, una idealizzazione delle capacità intellettive a scapito della fisicità, che viene trascurata, negata. Si opera una sorta di scissione mente-corpo con la quale si cerca di riconoscere solo la parte "sana" della persona ammalata. La persona disabile è infatti portata alla poco cura del corpo, a ignorarne i segnali. Il corpo, invece di essere luogo di sensazioni piacevoli, diviene luogo del danno, della menomazione, della diversità, perde la propria sensibilità, non risponde più ai desideri personali e pertanto viene rifiutato, percepito come rotto, spezzato.

Il recupero dell'intimità e della sessualità a seguito di una disabilità acquisita è un aspetto fondamentale per il benessere della persona, che solo così potrà esprimere pienamente la propria identità di uomo o donna e la propria personalità come individuo. E' un percorso lungo e complesso, in cui si deve re-imparare a vivere il proprio corpo.

“Tengo molto al fatto che io sono una persona e sono una donna […] il fatto di perdere la propria fisicità, la propria sensualità può capitare molto spesso quando si tratta di una persona che ha subito una lesione come la mia, maschio o femmina non importa, perché tu perdi la gestione del tuo corpo, la sensibilità del tuo corpo, quindi devi imparare a viverlo in un altro modo e molto spesso tu per primo ti vivi asessuato. Io penso di essere una persona libera nel mio cervello e ho avuto la fortuna di incontrare per esempio un compagno che non credo mi veda solo come una donna su una sedia a rotelle, ma prima come una donna, poi anche la sedia a rotelle perché in realtà non è che non la vedi e che non la devi vedere, la sedia a rotelle c'è, fa parte della persona che sono” (Barbara)

“Io sono mi sono innamorato di lei come di una qualunque donna che ti colpisca. Quello che ci ha aiutato molto ad affrontare anche le difficoltà della gestione quotidiana dell'igiene, dell'alzare Barbara dal letto, del metterla a letto, tutte cose che comportano vestirla e svestirla, è stata l'ironia con cui abbiamo affrontato questa cosa. Ogni passo è stato molto valutato, quindi anche la sessualità è stata affrontata con calma, con i giusti tempi per tutti e due. Ci sono ovviamente delle cose che una persona non conosce e deve far sue…per fortuna non ci siamo fermati”  (compagno di Barbara)

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